A proposito di PNRR: per l’assistenza domiciliare non “basta la parola”

Ritengo opportuno in questo periodo intignarmi col Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) perché ritengo che esso costituisca una doppia opportunità: mette risorse e mette in condizioni di ragionare sulle risposte ai bisogni di salute delle persone.

Uno degli elementi caratterizzanti il PNRR è il potenziamento della assistenza domiciliare. Scelta che lo stesso Draghi ha citato nel suo discorso di presentazione del PNRR. E scelta che lo stesso Ministro Speranza rivendica con passione. Per ragionare su questa scelta (ovviamente più che condivisibile) e sulle sue implicazioni (tutt’altro che scontate) possiamo partire dalla risposta data proprio dal Ministro Speranza alla Camera ad un question time, e cioè ad una interrogazione a risposta immediata. Ad un deputato della Lega che lo interrogava sul tema della assistenza domiciliare il Ministro ha risposto che “Sulla necessità di rafforzare l’assistenza domiciliare, credo che questo Governo sia sempre molto impegnato … Nel PNRR sono destinati all’assistenza territoriale 8 miliardi di euro, di cui ben 4 all’assistenza domiciliare. L’obiettivo che abbiamo è considerare la casa il primo luogo di cura”. E poi più avanti prosegue “Fornisco alcuni dati. In Italia, prima che arrivasse questo Governo, la copertura dell’assistenza domiciliare per le persone oltre i sessantacinque anni era pari al 4 per cento, mentre grazie al cosiddetto decreto rilancio nella fase precedente del Governo Conte II si arrivò al 6,7 per cento. Con l’intervento che stiamo predisponendo nel PNRR arriveremo a essere il primo Paese d’Europa per assistenza domiciliare, con il 10 per cento.”

Il mantra del Governo e del Ministro è dunque “la casa è il primo luogo di cura”.Purtroppo le cose sono molto più complicate e colpisce che il Ministro non se ne renda conto. Ci aiuta invece a rendercene conto il mio amico Franco Pesaresi, grande esperto di organizzazione sociosanitaria ed in particolare di risposta alla non autosufficienza, con un suo commento a questa parte del PNRR. Franco Pesaresi ricorda innanzitutto che il potenziamento dell’assistenza domiciliare costerà 2,72 miliardi per raggiungere il 10% degli anziani, mentre il resto dei 4 miliardi andrà alla telemedicina e alle Centrali Operative Territoriali. Dal commento emerge tra l’altro che:

  1. il Recovery Plan non cambierà la tipologia di cure domiciliari che verranno erogate e almeno per ora si manterranno le ore di assistenza domiciliare che mediamente vengono erogate attualmente ad ogni anziano che sono solo 18 ore annue. Questo vuol dire che le cure domiciliari vengono e verranno erogate solo per due o tre mesi, magari di seguito ad una dimissione ospedaliera. E questo vuol dire che tutti malati non autosufficienti che hanno bisogno per anni delle cure domiciliari rischiano e rischieranno di rimanere esclusi da questo tipo di assistenza;
  2. nulla si dice sulla necessità di affiancare agli interventi domiciliari di natura medico-infermieristica anche quelli – oggi marginali – di sostegno nelle attività fondamentali della vita quotidiana, che la non autosufficienza preclude all’anziano di poter compiere da solo. Ciò implica la messa in campo -di fatto non inclusa nel progetto – di un intervento sociosanitario o sociale con figure diverse da quelle infermieristiche e l’affiancamento e il supporto anche dei soggetti quotidianamente impegnati ad affrontare le limitazioni dell’autonomia dell’interessato, cioè i caregiver e le assistenti familiari.

Ma non è finita qui, aggiungo io. Il Ministro Speranza parla di una assistenza domiciliare già arrivata a coprire il 6,7% della popolazione e destinata ad arrivare al fatidico 10% che ci farebbe passare in testa in Europa. Ma a parte i limiti che Franco Pesaresi ha efficacemente evidenziato, c’è un’altra questione irrisolta che si dà invece per scontata: che gli infermieri necessari per questo ci siano e ci saranno. Cosa purtroppo non vera, perché gli infermieri mancano e quelli che arrivano continuano ad essere assorbiti soprattutto dagli ospedali. Tanto è vero che quel 6,7% di copertura attuale della assistenza domiciliare agli anziani di cui parla Speranza era sì previsto nel Decreto Rilancio del maggio 2020, ma non è stato nemmeno lontanamente raggiunto. Perché il personale, soprattutto gli infermieri, necessario non c’è.

Purtroppo la buona politica per la salute richiede non solo buone intenzioni, ma anche capacità di tradurle in azioni concrete. Ai miei tempi a Carosello uno degli slogan di maggior successo era “Falqui, basta la parola”. Purtroppo la versione “Draghi, basta la parola” non funziona e non funziona nemmeno la versione Speranza. Figuriamoci, per venire alle cose di casa nostra, la eventuale versione Acquaroli.

Claudio Maria Maffei

PS:

Mi rendo conto solo adesso che l’associazione col confetto Falqui potrebbe suonare irriguardosa, ma è ormai troppo tardi…

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