Il mondo, sotto la guida di élite confuse e poco lungimiranti, sta andando verso il riarmo globale, con anni e anni di conflitti a bassa, media e alta intensità che ci aspettano. Le lotte egemoniche non si curano dei cambiamenti climatici e dei problemi reali di miliardi di persone (il cibo, l’acqua, l’istruzione, la qualità del lavoro, i diritti civili, la violenza contro le minoranze, …). La politica classica – diciamocelo – è morta e sepolta. Il futuro non è roseo e dobbiamo domandarci cosa sia possibile fare, visto che esistono parecchi gruppi umani che criticano l’esistente, ma non riescono ad opporre all’andazzo generale una forma di resistenza efficace.

I punti dirimenti, per andare in direzione di una politica radicale che non sia estremista e non cada neanche nell’illusione riformista, oggi mi sembrano questi:

1) il pacifismo e la nonviolenza sono le vie da percorrere, per motivi non solo ideali, ma concretissimi: se pensi di usare la “forza” trovi che i tuoi avversari ne hanno infinitamente più di te e sono abituati ad esercitarla da secoli. E poi, se li segui sullo stesso terreno, diventi come loro;

2) il disastro ecologico è già in corso, quindi non si tratta tanto di auspicare la “salvezza del pianeta”, ma di invertire subito la rotta per salvare il salvabile. Nulla di ciò si può fare rimanendo nella rete di fantasie da capitalismo verde. Bisogna pensare a una decrescita guidata nei settori produttivi più nocivi e inquinanti, e a politiche incisive per il riuso, il riciclo e la riduzione dello spreco energetico;

3) Il rapporto tra sindacati, lavoratori e precari va ripensato radicalmente. Serve inoltre un nuovo mutualismo partecipato e consapevolmente anticapitalista. La solidarietà, al di là delle forme note dell’associazionismo e del volontariato, deve essere ripensata in un’ottica etico-politica forte e non come toppa per coprire provvisoriamente i buchi delle ingiustizie perpetrate dal potere;

4) si sbaglia, e di grosso, chi rifiuta la tensione tra rappresentanza parlamentare e movimenti di base, tra creatività ribelle e progettualità istituzionale. Queste componenti vanno tenute insieme, l’una per contenere l’altra e per stimolarla a dare il meglio. Per le questioni dell’occupazione, dell’ambiente, della convivenza tra etnie diverse, dei beni comuni (e per molto altro) servono leggi. Non bastano proteste popolari e buone pratiche. Contemporaneamente, senza buone pratiche e sperimentazione nei laboratori sociali sui territori, qualunque progetto politico scade nell’incubo di una razionalità che tenta di imporsi sulla complessità psicosociale muovendo da principi astratti. Ben vengano, allora, il consumo critico e altre prassi di azione solidale e consapevole, senza però cancellare l’urgenza di agire nella medesima direzione anche attraverso le leve istituzionali;

5) bisogna maturare come esseri umani, scegliendo di dare al lavoro interiore il giusto spazio (affiancandolo alla politica): non abbiamo bisogno di antagonismi compiaciuti e sterili, di semplificazioni mostruose, di smanie identitarie che prevalgono sull’incontro con l’alterità;

6) dobbiamo pensare e praticare, senza trascurare il senso di realtà, un esodo dalle logiche della potenza fine a se stessa. Iniziamo, per esempio, coltivando una comprensione intelligente di quel potere invisibile (Carlo Sini) che conduce i piani di qualunque potere attuale a un futuro naufragio. Per quanto i potenti vogliano controllare la vita in ogni sua manifestazione, la realtà è tale che nessuno può credere di guardare l’intero processo dall’alto, da una posizione distaccata, prevedendo con esattezza ogni reazione e potendo frenare il divenire che porta gradualmente a dissoluzione tutte le intenzioni e le architetture degli umani. Non credere al dominio che si presenta come incontrastabile ed eterno, non riporre il cuore e la fede in esso, poiché non esiste e non esisterà mai un potere “assoluto”, sciolto dai contesti e dalle persone che lo riproducono o che sono pronte a destituirlo;

7) vanno rivalutati e perseguiti lo studio, la ricerca, il dibattito aperto, fino a modificare radicalmente i sistemi dell’informazione pubblica, ma senza mai dimenticare che il pensiero collettivo si nutre lavorando insieme, dandosi spazi e tempi di confronto, spegnendo tv e social ogni volta che sia necessario farlo. In tal senso si tratta di abbandonare il regno delle chiacchiere e apprezzare la fatica del pensiero e il gusto del sapere;

8) la natura plurima delle emergenze sistemiche che ci aspettano e sono già tra di noi – sanitaria, ambientale, dei flussi migratori, del cibo ecc. – richiede dialogo e gestione corale dei problemi, esattamente il contrario di quanto accaduto in questi due anni. Non potrà esserci politica emancipativa senza tenere insieme, in un nesso inscindibile, libertà-cura-responsabilità. Se non sapremo ripensare strategie e forme della presa in cura, finiremo dritti nella gabbia del capitalismo di sorveglianza e della sua economia di guerra (con tutti i “sacrifici” che vengono puntualmente richiesti a ceti medi e classi popolari).

Ecco perché, come insegna la vicenda dei vaccini e delle mancate risposte strutturali alla crisi pandemica, è indispensabile rifiutare le polarizzazioni create ad arte e alimentare una democrazia cognitiva oggi schiacciata dagli interessi congiunti delle multinazionali, dei governi e dei mass-media.

Paolo Bartolini

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