Non andrà tutto bene e non siamo spacciati

Le categorie “pessimismo” e “ottimismo” lasciano il tempo che trovano. Non mi hanno mai convinto molto. Sono più adatte a vendere qualche merce culturale e a rafforzare immagini del mondo polarizzate. Mi spaventano enormemente gli ottimisti con il prosciutto sugli occhi. Non temo meno gli apocalittici disintegrati che vedono il disastro sempre dietro l’angolo e considerano la vita una dissipazione irredimibile, dolore e sofferenza senza scampo. I primi sono funzionali alla bonomia imbecille di una società di mercato che si fonda sulla rovina ecologica e sull’ingiustizia sistematica. I secondi, anche quando intravedono correttamente la gravità delle situazioni, non colgono mai le linee di fuga, i guizzi della gioia che rompe il guscio della depressione, le tendenze di liberazione che palpitano sotto traccia. “Andrà tutto bene” e “Siamo spacciati” sono gli estremi del cappio che si va stringendo attorno al nostro collo. L’esistenza è tragica e attraversata da scintille sorprendenti. Eppure mai confondere il destino con il fato. Il primo dipende anche da noi, il secondo è già scritto e dobbiamo lasciarci vivere. Evidentemente la libertà umana è limitata. Per quanto piccola siamo chiamati a coltivarla, riconoscendo ad esempio che prima di essere soggetti della vita, siamo soggetti alle pratiche e alle forze che ci mettono in forma fin dalla nascita. Nulla che si possa abbandonare fingendo di provenire da altrove. Piuttosto bisogna farci carico di ciò che stiamo diventando, dentro la matrice di rapporti e interconnessioni in perenne movimento, assumendoci la responsabilità di quanto è davvero in nostro potere.

Mentre un certo pessimismo caricaturale ci chiude nella gabbia della rassegnazione, all’opposto il mito ipermoderno e individualista della “vita aumentata” e “spettacolare” convince i più ingenui (e sono parecchi) a credere che ognuno possa scegliersi la sua filosofia, il suo orientamento spirituale, la sua via di ricerca, nello stesso modo in cui si sceglie al supermercato la confezione preferita di marmellate. Mi sono già soffermato su questo ottimismo da supermercato che permea l’intero edificio dell’olismo generico contemporaneo. La vita ci sorride, l’universo ci parla, il tuo destino è completamente nelle tue mani, Dio è luceamore senza fine e puoi scoprirlo anche tu comprando il mio ultimo libro su Dio come manager celeste: queste e altre sciocchezze servono esclusivamente a tenere alto l’umore della truppa mentre affonda la nave. Sono palliativi inutili, droghe che eccitano e sedano (a seconda delle esigenze) dei soggetti incapaci di riconoscersi come risultato di una storia plurimillenaria. La spiritualità non si sceglie, come non si sceglie la verità, come non si sceglie di trasformarci in altro dall’occidentale medio che siamo.

Quello che si sceglie, almeno fino a un certo punto e dopo tonnellate di lavoro interiore e di studio/ricerca, è di sospendere l’adesione fanatica agli assoluti, di iniziare a rispondere a un richiamo, di portare l’attenzione su pratiche, discorsi e condizioni materiali-simboliche di vita. Raggiungendo questa visione dell’esistenza, pessimismi e ottimismi perdono qualunque rilevanza. Entriamo infatti in un cammino dove corpo e anima si riconoscono modellati da quelle stesse attività e azioni collettive a cui ciascuno di noi contribuisce aggiungendo sempre un pizzico di originalità. Allora, fuori dalla tentazioni della società di massa, ammettiamo con noi stessi che siamo liberi quando teniamo il cuore aperto e dirigiamo la nostra capacità di riflessione su ciò che ogni giorno ci capita di fare in modo fin troppo automatico e irriflesso. Si guadagna così, un po’ alla volta, qualche margine di libertà per mettere in campo una svolta etico-politica che si accompagni alla concomitante trasformazione di sé come soggetti mitobiografici. Non “andrà tutto bene” e nemmeno “siamo spacciati”, piuttosto: faremo del nostro meglio senza illuderci e senza mai fermarci. Questo, a quarantacinque anni suonati, è il momentaneo approdo del mio viaggio. Il vento soffia e le vele si gonfiano.

Paolo Bartolini

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