In occasione delle elezioni regionali del 2025, il movimento politico regionale “Dipende da Noi” presenta qui le tre aree prioritarie per il programma delle forze di sinistra alternative al governo della destra e alle vecchie politiche che hanno causato il degrado della regione.
1. PER IL DIRITTO ALLA SALUTE
In ogni ambito il bene comune è sacrificato sull’altare degli interessi dei grandi poteri economici che minacciano la sfera vitale, sociale e la dignità degli esseri umani.
La politica istituzionale non reagisce all’avanzata di un capitalismo rapace e brutale che produce sempre più ingiustizie, disuguaglianze, disastri ambientali, conflitti bellici, crisi economiche e delle democrazie, disgregando la società pezzo dopo pezzo e arrivando fino alla possibilità non più remota dell’estinzione della nostra specie.
LA CRISI DEL SISTEMA SANITARIO NAZIONALE
In questo quadro va contestualizzata la crisi del nostro Sistema Sanitario Nazionale.
Un piano sempre meno velato vorrebbe fare a pezzi la sanità pubblica, fino a qualche decina di anni fa, fiore all’occhiello del nostro paese, per lasciare il posto all’avanzata del privato.
E’ per questo che la lotta per la sopravvivenza e la salvaguardia del nostro Sistema Sanitario diventa una lotta di civiltà contro la barbarie della mercificazione della salute.
Non sarà facile invertire la rotta di quella parabola che, nel descrivere l’andamento del nostro sistema salute, vede nel suo apice la Legge 833 del 1978 (una delle più grandi riforme che la politica abbia mai realizzato nel nostro paese) fondata sul principio di gratuità ed universalità del diritto alla salute già ben espresso nell’articolo 32 della Costituzione. Una parabola che ben presto inizierà la sua inesorabile discesa a suon di aziendalizzazione, autonomie regionali, mancate programmazioni, de-finanziamenti, tetti di spesi sul personale e convenzioni: tutte scelte di una politica asservita alle leggi del neoliberismo.
Il rischio è quello del crollo definitivo della sanità pubblica il cui stato di malattia è già vissuto in maniera evidente dai cittadini. I sintomi di questa malattia sono sotto gli occhi di tutti: liste d’attesa infinite, pronto soccorsi intasati, assenza di posti letto, abbandono delle cronicità.
Non basta trattare i sintomi con provvedimenti estemporanei buoni solo alla propaganda di una politica incapace, irresponsabile e complice al disegno ormai evidente della privatizzazione della sanità.
Occorre invece curare il morbo andando alla radice, alle cause che lo generano.
Occorre altresì essere consapevoli che il privato non può essere la soluzione.
Un sistema dove la malattia diventa fonte di profitto per pochi, non sarà mai un sistema che produce salute per tutti e non potrà che tradire il principio contenuto nell’articolo 32 della Costituzione.
Un sistema tale non avrà interesse ad una prevenzione razionale, né tantomeno ad integrare l’aspetto sanitario con l’ambito sociale.
Non avrà cura volta ad appianare le disparità economiche e sociali né tantomeno a salvaguardare la salute tutelando l’ambiente e limitando tutti quei fenomeni inquinanti che, pur producendo malattie, per il profitto di pochi rimangono intoccabili.
Per questi motivi l’articolo 1 della Legge 833 del ‘78 indicava nel Ssn il «complesso delle funzioni, delle strutture, dei servizi e delle attività destinate alla promozione, al mantenimento e al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione senza distinzioni di condizioni individuali o sociali e secondo modalità che assicurino l’eguaglianza dei cittadini nei confronti del servizio» (echeggiando la stessa definizione di salute fornita nel 1946 dall’Organizzazione mondiale della sanità).
Una definizione bellissima che parla di una sanità non tanto rivolta al trattamento della malattia, quanto alla cura della persona in toto, e che parla di uguaglianza per un diritto che in quanto interesse della collettività deve essere gratuito e per tutte e tutti. Si parla di una sanità pubblica come uno degli strumenti principali per realizzare una società avanzata, armonica e non squilibrata, dove possano risplendere i principi sanciti dalla costituzione.
Sono principi traditi col processo di aziendalizzazione della sanità pubblica di fatto comincia a parlare un’altra lingua e ad avere un’altra impostazione. L’organizzazione diventa più verticistica e sempre meno partecipativa e democratica. Le direzioni, manager messi dalla politica distaccati dai professionisti. Il lessico comincia a cambiare: si parla sempre più di “prestazioni”, di “drg”, di “budget”, di “bilancio” e sempre meno di “persone”.
E soprattutto, il privato comincia a fare un ingresso nella sanità sempre più ingombrante.
È evidente che già da qui comincia la competizione pubblico – privato della sanità, una competizione iniqua e sbilanciata: con la complicità della politica è diventato uno dei mercati più sicuri e a basso rischio per chi vi investe. Un privato che si sceglie le attivitá piú redditizie non dovendo coprire tutti i fabbisogni della popolazione (a quello continua a pensarci il pubblico), ma solo ció con cui ci si guadagna di piú, ricevendo introiti sicuri dalle finanze pubbliche, con sempre più incentivi statali o col sistema delle convenzioni.
Andando ad esaminare brevemente il quadro a livello nazionale numerosi sono gli aspetti critici e le problematiche complesse, spesso inveterate ed interconnesse:
- la carenza di personale medico e infermieristico (prevedibile da decenni, criticità non affrontata da nessuno dei governi alternatisi in questi decenni) e
- la carenza di posti letto (progressivamente tagliati negli anni fino a 3,1 per 1.000 abitanti, significativamente inferiore al dato medio europeo) insieme alle
- difficoltà a dimettere gli anziani e i pazienti più fragili verso il domicilio o le residenze sanitarie assistite, producono
- i tempi di attesa esagerati per il ricovero che contribuiscono ai
- pronto soccorsi intasati, anche per l’elevato numero di accessi impropri: il numero di «codici verdi» e di «codici bianchi» supera abbondantemente il 50 per cento degli accessi totali. Il pronto soccorso è percepito come il punto di accesso più immediato e diretto alla salute pubblica per
- i tempi sempre più lunghi nello scorrimento delle liste d’attesa per poter accedere a prestazioni diagnostiche e specialistiche. In più
- l’aumento di pazienti affetti da malattie croniche gestite senza qualità e continuità delle cure sul territorio, spesso tendono alla riacutizzazione e quindi ancora all’accesso al PS.
- La situazione dei consultori pubblici è drammatica: sempre più ridotti all’osso, sono svuotati di personale e spesso chiusi per infima volontà politica di privare le donne dei loro diritti, andando invece a finanziare i sempre più numerosi consultori privati gestiti da associazioni antiabortiste.
Riteniamo sempre più necessaria l’attuazione di misure mediante l’erogazione di risorse, il recupero del personale e la rimodulazione dei modelli organizzativi, che però tardano ad arrivare.
Occorrerebbe in primis però un coraggioso cambiamento della medicina territoriale che sembra trovare mille ostacoli oltreché una seria riforma che rimetta al centro i principi ispiratori, primo tra tutti il diritto universalistico alla salute.
LA CRISI DEL SISTEMA SANITARIO REGIONALE
A proposito delle Marche, la situazione è sempre più preoccupante.
Le azioni messe in campo da giunta e assessore in questi 4 anni di governo sono state non solo inefficaci ma anche dannose, dimostrando incapacità e o irresponsabilità di una politica mossa dalla logica del consenso e delle promesse ai singoli bacini elettorali di provenienza.
È verissimo che la maggior parte delle difficoltà del sistema sanitario derivano da dei grandi deficit della medicina del territorio, che con l’attuale organizzazione risulta ormai incapace di sopperire ai bisogni della popolazione.
Ma l’attuale giunta di destra, con lo slogan “più territorio”, ha invece fatto intendere alla popolazione che fosse necessario il ripristino di ospedali come quello di Cingoli e Pergola (incuranti delle indicazioni del DM 70) con tanto di PS h24 e blocco operatorio, ben consapevoli di fare una operazione costosa, inefficace e impossibile da sostenere per mancanza di personale. Quelle strutture andavano certamente utilizzate ma in altro modo: “più territorio” significa non tanto la presenza di un presidio emergenziale medico e chirurgico di prossimità (incapace di mantenere standard minimi di qualità), quanto l’organizzazione di strutture e funzioni integrate atte a garantire la cura dei cittadini in maniera capillare e diffusa.
Il Decreto ministeriale n. 77/2022, e le attuazioni regionali, Dgr 559/2023, indicano la “casa come primo luogo di cura” con diverse figure professionali (medico di medicina generale, medico specialista, infermieri, riabilitatori, psicologi, dietisti, operatori sociosanitari) deputate ad assicurare le cure domiciliari ossia un servizio di livello essenziale: eppure nella gran parte del territorio regionale queste prestazioni non vengono garantite, né è assicurata la copertura oraria e neppure si conosce nel dettaglio la dotazione diversa distretto per distretto così che troppo spesso si ricorre alle strutture residenziali per l’inadeguato sostegno che ricevono le famiglie. Alcuni dati che evidenziano carenza di offerta con riferimento alle figure professionali e forte disomogeneità territoriale erano presenti nell’appendice al Piano sociosanitario regionale 2023-25 ma a quelle criticità il Piano non ha dato seguito con impegni volti a potenziare servizi a sostegno della domiciliarità.
Sulle Case della Comunità e sugli Ospedali della Comunità, misteriosi sono i criteri con i quali sono stati orientati gli investimenti. Sappiamo solo che centinaia di migliaia di euro sono spesi per la progettazione di strutture che a volte non rispettano le normative, che non si sa quando saranno completate e se funzioneranno o apriranno mai.
Per tutto questo secondo noi il tanto sbandierato Piano Sanitario Regionale è stato niente più che uno specchietto per le allodole e una perdita di tempo, come anche la suddivisione in AST e lo smantellamento dell’ASUR: giusto o sbagliato che fosse, ben altre erano le priorità che non si sono volute affrontare lasciando crescere sempre di più i bisogni inascoltati dei cittadini.
Stando alle statistiche di diversi studi di settore, il reale quadro, ben diverso da quanto dipinto dalla giunta e invece combaciante con l’esperienza concreta fatta dai cittadini di cui è sempre più percepibile la effettiva quotidiana difficoltà, è il seguente:
- Nel 2023 le Marche (ultimo rapporto BES dell’ISTAT) sono state la regione al terzo posto come percentuale di cittadini che hanno dovuto rinunciare a prestazioni sanitarie per problemi economici e di accessibilità, con una frequenza sempre più alta di persone che chiedono prestiti per curarsi.
- Sempre nel 2023 (indagine di Facile.it) le Marche sono al secondo posto come peso percentuale della necessità di spese mediche sul totale dei prestiti richiesti
- Tra 2022 e 2021 è diminuita la percentuale di pazienti che sono riusciti ad effettuare un intervento di chirurgia cardiovascolare o per la chirurgia oncologica (raggiungendo terzo e quarto posto)
- Tra il 2019 e il 2022 le Marche sono al quarto peggior posto come prime visite, visite di controllo e di diagnostica strumentale ridotte del 23 per cento.
- L’elaborazione di Agenas sui Pronto Soccorso relativa al 2023 le Marche hanno i secondi tempi di attesa più lunghi per codici verdi e i quarti tempi di attesa più lunghi per quelli gialli.
Queste sono le ragioni che ci spingono a pretendere, dai soggetti politici che si candideranno al governo della nostra regione, la realizzazione dei seguenti punti che riteniamo imprescindibili.
- RIFORMA DELLA MEDICINA TERRITORIALE
Come si è già detto le maggiori criticità del SSN provengono da una forte difficoltà della medicina territoriale ancorata ad un modello, quello del medico di assistenza primaria (più conosciuto come medico di famiglia) e del medico di continuità assistenziale (guardia medica), che non riescono più a dare risposte ai bisogni della popolazione. Medici in affanno da soli nei loro studi, per forza di cose sforniti di strumenti, farmaci e di una diagnostica di base, che, costretti a diventare burocrati, compilatori di ricette, come in trincea resistono alle sempre più pressanti esigenze dei cittadini. Un modello sorpassato costruito su un paradigma, quello del rapporto medico-paziente, nel tempo profondamente cambiato: un paziente sempre meno paziente e che non accetta più un ruolo di passività, e che anzi diventa più informato ma soprattutto esigente, protagonista e soggetto attivo di tale relazione. Un medico che spesso interpreta questo cambiamento relazionale come una perdita della fiducia incondizionata di un tempo e che spesso si difende a suon di prescrizioni.
Diversamente sarebbe se i medici, anche nei territori, potessero lavorare insieme, confrontarsi, appoggiarsi l’un l’altro, utilizzare uno strumentario di base, collaborare con colleghi specialisti, infermieri, sociologi, psicologi: questo determinerebbe una comunità di persone che nei territori sarebbe sicuramente più capace di dare risposte assistenziali complete ed organiche, demandando agli ospedali e ad accertamenti ulteriori solo i casi ragionevolmente selezionati. Una medicina di comunità ridimensionata nel nuovo contesto storico, rispettosa di risorse economiche non infinite, in grado di relazionarsi col paziente avendo cura di tutte le fragilità, capace di mettere in secondo piano l’iper-razionalismo delle “linee guida” (che spesso non sono il meglio per il malato, quanto per la multinazionale farmaceutica o per il medico timoroso di denuncia), e applicare invece il criterio della ragionevolezza, del buon senso, in “scienza” ma anche in “coscienza”.
Ecco perché occorre un ripensamento organizzativo e un investimento importante sulla medicina territoriale dando attuazione agli interventi previsti dal Piano di ripresa e resilienza (PNRR) e dal Decreto Ministeriale n. 77 del 2022, attraverso la realizzazione degli “Ospedali di comunità” e delle “Case della comunità”, insieme al rafforzamento dell’assistenza domiciliare.
Come sempre è importante il metodo con cui tali norme vengano attuate.
Rispetto alle ‘’Case della Comunità” l’attuale giunta sembra aver prestato attenzione solo alla prima delle tre parole, cioè alle “Case”, attivando una serie di progetti edilizi in maniera squinternata e senza un concreto studio sui fabbisogni.
Ma se le “Case” sono “della Comunità” per noi vuol dire che la Comunità deve venire prima. E’ questa l’occasione per la politica di tornare davvero tra la gente, al di là della propaganda, ascoltandone i bisogni, cogliendone i suggerimenti, e costruendo insieme, attraverso un metodo partecipativo, questi nuovi centri della salute che in questo modo possano essere realmente misurati sulle peculiarità e sulle esigenze dei territori, sopperendo a quell’abbandono a cui sempre più si è assistito, e superando il dato geografico tra costa ed interno, che vede quest’ultimo spesso penalizzato soprattutto nelle aree montane.
Dentro questa riforma della medicina territoriale deve essere fondamentale:
- la valorizzazione della figura dell’infermiere di famiglia e di comunità.
- la riorganizzazione e il potenziamento del numero di posti letto di cure intermedie per gestire in modo appropriato la fase post acuzie, successiva alle dimissioni ospedaliere.
- Investimenti nella telemedicina, in particolare dalla realizzazione di sistemi di telemonitoraggio sanitario dei pazienti con patologia cronica.
- Investire sull’integrazione sociosanitaria ospedale-territorio per la gestione dei pazienti in condizioni di maggiore fragilità mediante lo sviluppo delle Centrali Operative Territoriali.
- rendere efficiente il Fascicolo Sanitario Elettronico
Inoltre occorre rafforzare il ruolo dei Distretti Sanitari: ciò garantendo personale stabile per presìdi importanti come Consultori familiari e Unità Multidisciplinari per la disabilità e qualificandoli come perno per le dimissioni protette ospedaliere e nel raccordo con i Dipartimenti extramurali che si occupano di fragilità: Salute Mentale, Dipendenze patologiche, Riabilitazione, Materno Infantile.
- INTEGRAZIONE SOCIALE E SANITARIA
L’integrazione sociale e sanitaria deve essere una priorità per tutti i livelli di governo della salute: dalla organizzazione degli uffici regionali per un’effettiva e propositiva amministrazione dei rapporti tra sanità e sociale, alla coincidenza tra Distretti Sanitari e Ambiti Territoriali Sociali; dal rafforzamento della conoscenza della domanda di salute sociale e sanitaria e dal miglioramento delle risposte con il coinvolgimento reale dei Comitati dei Sindaci all’organizzazione di percorsi formativi e di accompagnamento sui territori relativi a: Punto Unico di Accesso, Unità Valutativa Integrata, presa in carico e continuità dell’assistenza con Progetti Assistenziali Integrati tra acuzie, riabilitazione, cronicità.
- CONSULTORI
Le attività Consultoriali sono il primo sostegno che accompagna la persona in tutte le fasi più salienti della vita nel suo percorso di crescita e con un ruolo educativo per la prevenzione, la sessualità, la procreazione responsabile. Sostiene la persona minore e la famiglia rispetto al bisogno abitativo, di reddito e della rete sociale senza le quali non sarebbe garantito il rispetto dei bisogni fondamentali di sussistenza. Questi sono solamente alcuni dei temi di cui i Servizi Consultoriali si occupano, sempre che siano presenti nel territorio marchigiano in termini numerici e con Operatori sufficienti per quantità e competenze.
Invece in modo assurdo e non corrispondente alla realtà la Giunta Regionale Marchigiana ha una sola preoccupazione: limitare la libertà delle donne nella legittima e legale scelta procreativa. Nell’ultimo Report sui Consultori 2023 si evince il peggioramento dello stato di questi servizi nelle Marche rispetto l’ultima indagine del 2016: il numero dei consultori per popolazione è diminuito da 71 a 66 con una distribuzione non uniforme. Le quattro figure professionali come equipe stabilita dalla legge presenti solo nel 36,4% e una presenza di personale pari al 33,8% corrispondente a 111 figure rispetto alle 255 previste. Tutto questo si traduce in una mancata risposta ai bisogni espressi dai cittadini e cittadine: mancanza della Medicina Linguistica Culturale per la presa in carico dell’utenza straniera, solo 19 consultori su 66 possono accogliere in un percorso dedicato gli adolescenti, solo 17 svolgono interventi nelle scuole, solo 28 offrono corsi di accompagnamento alla nascita. Rimane sempre più grave la carenza di risposta alla richiesta di IVG con 7 sedi dove vi è una obiezione di coscienza al 100% e una bassa diffusione della tecnica di IVG farmacologica ancora utilizzata solo in ospedale con scarsa formazione del personale. La Rete Femminista Marche Molto+ di 194 si è fatta promotrice di una Diffida nel febbraio 2022 con oltre trenta associazioni, partiti e sindacati denunciando la mancata applicazione da parte della Regione Marche della legge 194/78 in riferimento alle Linee Guida del Ministro Speranza, rimasta senza risposta. Fortemente carente nel territorio marchigiano è anche la presenza dei Centri Antiviolenza e delle Case di Accoglienza per le donne maltrattate. La violenza maschile sulle donne che si esprime nelle sue varie forme e che culmina con femminicidi sempre più efferati è in aumento con oltre già più di 97 nel novembre 2024 ed è frutto di una cultura patriarcale e dello stupro che esige urgentemente una serie di interventi di tipo educativo e culturale messi in atto dalle istituzioni pubbliche nonché la presa in carico della donna e minori vittime della violenza con il potenziamento dei Centri Antiviolenza e delle Case di Accoglienza per le donne maltrattate. Occorre l’istituzione di un centro di monitoraggio dell’applicazione della 194 e sostegno alle attività consultoriali.
- RIORDINO DEL SISTEMA EMERGENZA-URGENZA
Occorre un radicale riordino del Sistema Emergenza/Urgenza Territoriale in modo da realizzare compiutamente l’integrazione e il coordinamento della rete dell’emergenza-urgenza nella rete ospedaliera attraverso:
- l’adozione di protocolli condivisi (piani diagnostico terapeutici per le patologie tempo-dipendente) tra questi due poli;
- l’ottimizzazione della dislocazione delle postazioni di emergenza sanitaria territoriale;
- una formazione infermieristica specializzata con più responsabilità e meglio retribuita;
- l’istituzione di un Dipartimento Regionale con una unica Centrale Operativa
- ORGANIZZAZIONE DELLA RETE OSPEDALIERA
Il DM 70 del 2015 dava indicazioni su quella che doveva essere una razionalizzazione della rete ospedaliera, non solo finalizzata ad un risparmio delle risorse economiche quanto all’incremento della qualità e dell’efficientamento delle cure.
Una cultura fortemente ospedale-centrica (mentre sappiamo che la salute in primis dovrebbe farsi sui territori) e soprattutto l’assenza di una alternativa assistenziale territoriale ha orientato la popolazione a sentire la chiusura o il ridimensionamento di ospedali più piccoli come un abbandono, che in molti casi si è effettivamente verificato.
La politica populista della attuale giunta, cavalcando questo sentimento, ha invece promesso ai propri bacini elettorali il funzionamento di ospedali evidentemente superflui e inefficienti, pur sapendo che non avrebbe nemmeno reperito personale disposto a lavorarci (se non con i medici a gettone e con una spesa enorme delle finanze pubbliche) e quindi senza un reale giovamento per la salute pubblica.
Occorre invece:
- una pianificazione più seria e coraggiosa per decidere “chi fa cosa” andando contro gli interessi particolari, guardando invece l’interesse collettivo, applicando il DM70 calato nella nostra realtà regionale,
- riqualificazione ed esplicitazione dell’assistenza ospedaliera nella logica dell’organizzazione per intensità di cura,
- un potenziamento del personale col superamento dei tetti di spesa,
- la tutela del personale dalla messa in sicurezza degli ambiti lavorativi e investimenti sul welfare ospedaliero (asili per i dipendenti, mense, ecc…)
- una estensione della definizione di Percorsi Diagnostici Terapeutici Assistenziali nei settori dell’assistenza ospedaliera e territoriale, integrati tra sanitario e sociale.
- una accelerazione della realizzazione e applicazione del fascicolo sanitario elettronico (FSE) nella Regione Marche.
- una implementazione effettiva e prioritaria del Registro Tumori Regionale.
- un monitoraggio dell’andamento della Mobilità sanitaria per il miglioramento dei valori di quella interregionale passiva e per una riallocazione dei servizi sulla base della mobilità intraregionale tra le Aree Vaste.
- GOVERNO DELLE CONVENZIONI
Per una sanità pubblica e gratuita, accessibile a tutti occorre una rivalutazione da parte della regione delle prestazioni sanitarie private, governando il convenzionamento sulla base dei fabbisogni al fine di garantire al cittadino la totalità dei LEA (livelli essenziali di assistenza), all’interno di un disegno regionale che preveda l’integrazione e la complementarità dei vari servizi.
- LISTE DI ATTESA
Bisogna riformare profondamente il sistema regionale delle liste d’attesa andando ad innovare radicalmente gli strumenti di monitoraggio dei tempi al fine di renderli sempre più tempestivi e precisi, e prontamente disponibili per la programmazione.
Per dare seguito a questo riordino occorre istituire un tavolo di lavoro permanente sulla sanità e sui servizi socio-sanitari che veda coinvolti sia i rappresentanti delle forze politiche, sia quelli delle categorie professionali e degli utenti
2. CREARE POSTI DI LAVORO: PER UN’ECONOMIA DI COMUNITà
Da oltre due lustri il sistema economico marchigiano ‘, caratterizzato nei famosi “trent’anni gloriosi” del cosiddetto “boom” da una sua particolarissima struttura produttiva, quella del distretto, del metamezzadro, della filiera corta attorno ad alcuni grandi players, è in crisi. Clamoroso, ma non inaspettato, a darne certificazione l’ultimo dato sulle esportazioni diminuite del 30% su base annua. Le cause hanno diverse motivazioni esogene al “sistema marche”, dalla crisi finanziaria del 2008, alla pandemia, dal sisma alle crisi geopolitica, tutte però innestate in un modello già da tempo sofferente, perché affidato in gran parte all’“individualismo padronale” e al particolarismo settoriale intolleranti al confronto con le esigenze pubbliche e chi le rappresentava, semmai attento a costruire reti di condizionamento alla decisione politica.
A questo si è accompagnata la scaduta qualità di un imprenditoria familiare che per cultura e ideali ha mostrato, nelle seconde generazioni, molti limiti e angusto egoismo, non a caso i brand più significativi del sistema industriale da Merloni a Guzzini, da Scavolini a Pieralisi sono stati ceduti a gruppi multinazionali ( dopo segnali di crisi più o meno enfatizzate) che spesso hanno acquistato per recuperarne le reti commerciali e chiudere le filiere produttive, tant’è che interi territori , a cominciare dal fabrianese , hanno visto in breve tempo fenomeni di deindustrializzazione di dimensioni storiche.
Ad accompagnare queste vicende la grande rivoluzione finanziaria che ha visto nella nostra regione crollare e scomparire (con fenomeni di corruzione e malversazione) il sistema creditizio regionale, senza che nessun intervento di sostegno ai settori produttivi coinvolti e di controllo verso queste operazioni di concentrazione e smantellamento fosse pensato e previsto dalle istituzioni pubbliche. In tutto questo non indifferente è stata la responsabilità delle forze sociali del mondo del lavoro prigioniere di una “filosofia della concertazione” che si è mostrata condiscendente a quel modello e poco attenta a realizzare piattaforme rivolte a modello alternativo basato su uno sviluppo centrato sui bisogni, la tutela del territorio.
L’alternativa pubblica, il lavoro, i diritti universali, reddito e casa
È evidente perciò la necessità di pensare proposte per una riconversione pubblica dell’ economia regionale a partire da una risposta immediata e concreta alle crisi industriali più gravi come quella della Beko (ex gruppo Merloni), quella della IMR (ex Caterpillar, che negli anni scorsi ha data vita ad una lunga e generosa lotta per il mantenimento nel nostro territorio dell’ attività produttiva) e quella di molte realtà più piccole ma con le stesse problematiche, per non dire dei settori, come il calzaturiero e il tessile, marginalizzati e in grave crisi di domanda. In questi ambiti è indispensabile un intervento pubblico che favorisca e aiuti non solo la riconversione produttiva, ma favorisca nuovi modelli di gestione a cominciare dalla possibilità di cooperative sostenute dall’intervento pubblico che, avvalendosi del contributo della rete universitaria, realizzi innovazione produttiva ed esplori mercati innovativi.
Per realizzare tutto questo occorre istituire una nuova agenzia regionale per affrontare le crisi industriali, un’agenzia che intervenga con capitale pubblico per riavviare e ridefinire il ciclo produttivo delle imprese a rischio di chiusura, in modo da poterla a una condizione di autonomia nel più breve tempo possibile.
In tale prospettiva serve una legislazione regionale mirata e chiara. Parimenti diventa indispensabile una ricerca sulla realtà socioeconomica che metta in evidenza le gravi criticità che riguardano le condizioni di lavoro sempre più saltuarie e precarie che meritano una risposta pubblica adeguata a cominciare dall’ introduzione di un reddito di cittadinanza che garantisca dignitose condizioni di vita e metta al riparo dal ricatto occupazionale che si manifesta con bassi salari e, sovente lavoro nero.
Questa misura sarà anche la condizione per sperimentare iniziative ed attività centrate sui bisogni sociali più urgenti, da quelli di una popolazione sempre più anziana, alle necessità abitative sempre più pressanti per tante giovani coppie e famiglie a basso reddito (il che presuppone anche un’attenzione significativa alle condizioni del patrimonio edilizio pubblico e privato in stato d’abbandono in tanti comuni della nostra regione).
I beni comuni, la riconversione ecologica, i servizi pubblici fuori dal profitto
Il principale motore di una riconversione sociale della nostra economia però deve essere la tutela e la valorizzazione dei beni comuni e dell’ambiente: intanto con un’attenzione specifica all’agricoltura biologica e sociale, da sostenere anzitutto con una legge specifica sull’agricoltura contadina. Ma è indispensabile, più in generale, una politica sistematica di tutela di beni primari come:
- l’acqua (qui la necessità di dare sostanza ai dettami referendari sull’acqua pubblica, attraverso una strumentazione legislativa, anche concorrente, che favorisca la gestione totalmente pubblica e popolare del bene dell’acqua e ostacoli i tentativi del governo centrale di favorire l’intervento privato e la costituzione di società finalizzate al profitto). La svolta per rendere la gestione dell’acqua completamente pubblica in tutta la regione è qualificante e irrinunciabile;
- l’aria, con l’impegno a “decarbonizzare” il territorio, intanto prevedendo la riconversione e lo smantellamento di vere e proprie “bombe ambientali” a cominciare dalla Raffineria Api di Falconara Marittima, avviando altresì progetti e programmi per le fonti dolci e il risparmio energetico,
- il suolo attraverso una legge urbanistica che vincoli e delimiti la necessità di nuove costruzioni a cominciare da quelle infrastrutture (terza corsia autostradale e le tante bretelle) la cui prova d’inefficacia e di spreco di risorse pubbliche è stata già data dalla tanto celebrata Quadrilatero, dando invece il via ad un programma di risanamento della rete viaria esistente e, soprattutto di un progetto di trasporto pubblico che tolga ai “feudatari privati” (già titolari delle vecchie concessioni e oggi nascosti dentro le società di scopo a cui è affidato il servizio esistente) il diritto di veto ad una programmazione diversa mirata anche sulle esigenze dei territori marginali anche per questo motivo sempre più a rischio di spopolamento.
Solidarietà ed accoglienza come motori di una nuova economia di comunità
Fa parte di questa “riconversione” anche una diversa attenzione alla questione dell’immigrazione e dei diritti delle persone migranti (come pure dell’emigrazione), fin qui affrontata solo con la generosità dell’impegno morale e gestita, in gran parte, dal volontariato. Le Marche devono diventare una regione che assume e perfeziona il modello Riace, prevedendo – anche in considerazione dei tanti vuoti creati dalla catastrofe del sisma nelle zone appenniniche – una politica di residenzialità accogliente collegate a progetti di manutenzione e cura del territorio, attività produttive della filiera dell’economia della montagna, realizzazione di nuovi progetti culturali. Tutto questo andrà perseguito insieme a progetti, collegati alla rete universitaria, che frenino, anche attraverso l’offerta residenziale in questi territori, l’emigrazione di tanti giovani fuori delle Marche.
La partecipazione, strumento indispensabile per la programmazione
Un programma coraggioso di trasformazione dell’ economia regionale, che contrasti il blocco di confraternite ed interessi consolidati che ha determinato il declino civile prima che economico della regione, ha pure bisogno di strumenti operativi capaci di sostenere questa intrapresa, quelli attuali, sempre lottizzati, sclerotizzati e miopi hanno agito, soprattutto, per giustificare l’inefficacia dell’intervento pubblico e per ostacolare forme partecipative di indirizzo e di progetto che avanzavano proposte e idee, occorre quindi pensare all’ organizzazione di Agenzie tematiche (sul lavoro, i beni comuni, i servizi pubblici) costruite attraverso la diffusa partecipazione di istituzioni territoriali, associazioni, reti universitarie, cittadinanza attiva, sindacati.
Accanto a questi strumenti diventa necessaria la riflessione sugli strumenti finanziari necessari a sostenere questi progetti, fin qui non solo la fuga dei grandi istituti di credito e la fine (ingloriosa) delle banche del territorio ( sostituite dal disseminarsi di piccoli istituti di credito , spesso opachi, sempre miopi, al servizio di consolidati interessi di consorterie locali) ma l’assenza di uno strumento pubblico al servizio della programmazione e delle esperienze sociali, per far questo occorre un importante sforzo legislativo che lo realizzi e parimenti una diversa gestione del bilancio regionale con un progetto di democratizzazione della sua redazione e della sua gestione.
L’impegno per la pace da parte della comunità regionale
Le attività e gli interventi per la cura per i servizi alla persona, per la sanità e le politiche sociali, per l’economia di comunità, per l’accoglienza e la solidarietà convergono unitariamente in una politica di promozione della pace, oggi urgente più che mai. Contro ogni scelta di riarmo militare, ideologico ed economico, noi vogliamo una regione che contribuisca attivamente a costruire rapporti di pace in ogni ambito. Dunque vogliamo una regione che partecipi alle iniziative nazionali che vanno in questa direzione, che attui scelte di cooperazione, gemellaggio e solidarietà con le regioni di altri stati, particolarmente colpiti dalla guerra, e che rafforzi l’azione permanente dell’Università per la pace delle Marche, istituita con legge regionale.
3. OLTRE lo spopolamento dell’entroterra: PER UNA PIANIFICAZIONE STRATEGICA TERRITORIALE
Il rapido declino demografico nelle Marche, con particolare impatto sulle aree dell’entroterra, rappresenta oggi una delle emergenze più gravi per il futuro della regione.
Negli ultimi vent’anni, secondo i dati ISTAT, si è registrata una diminuzione della popolazione fino al 15–20% in alcune zone interne, evidenziando un fenomeno di spopolamento che mina il tessuto sociale ed economico del territorio.
Stando ai più recenti dati ISTAT ben 260.000 marchigiani vivono questa condizione di marginalità: il 17,5% dell’itera popolazione. Quella che risiede nei Comuni delle aree interne classificate come intermedie e periferiche. Realtà, nonostante le difficoltà, ben vive nelle loro microeconomie (agricoltura, piccola impresa, artigianato e poco terziario), tanto da contribuire ad oltre 1/8 del Prodotto Interno Lordo. Se poi analizziamo gli “intrecci virtuosi” constatiamo che DOP, IGP e prodotti tipici abbondano e, se non l’economia terziaria, trainano la riconoscibilità agricola, culturale e di condivisione sociale. E ancora: tali identità costituiscono l’immaginario attraente per un turismo di qualità che, nel mix di natura, cultura e vivibilità, cresce in valori assoluti e percentuali.
Ma questa realtà vacilla, e spesso decade, sotto il peso di denatalità, spopolamento e depauperamento. Patologie correlate con la progressiva perdita di servizi essenziali: la chiusura di sportelli postali e bancari, di esercizi pubblici e di commercio al dettaglio, l’assenza di strutture sanitarie, di servizi scolastici adeguati e la diminuzione dei servizi pubblici che stanno generalmente creando un vero e proprio vuoto nelle comunità locali. Tali carenze rendono sempre più difficile la vita quotidiana degli abitanti, scoraggiandone l’attrattività demografica.
Il sisma ha ulteriormente aggravato la situazione. I danni strutturali e la conseguente crisi delle infrastrutture hanno accentuato la difficoltà di accesso ai servizi e la già precaria gestione dei territori interni, intensificando il fenomeno della desertificazione. La combinazione di disastri naturali e spopolamento porta con sé il rischio concreto di un dissesto territoriale, sia dal punto di vista ambientale che socio-economico.
Le conseguenze sono molteplici e si riflettono anche sul patrimonio storico-culturale delle Marche. Le aree interne, con i loro centri storici, custodi di tradizioni secolari e di un ricco patrimonio artistico e architettonico, rischiano di cadere in degrado se non vengono preservate con la cura e la manutenzione che solo una popolazione insediata può assicurare.
Sul versante ambientale, la diminuzione delle attività agricole e la mancanza di una gestione adeguata delle risorse forestali aumentano il rischio di dissesti del suolo e di incendi boschivi. La carenza di interventi di manutenzione e valorizzazione del territorio, infatti, non solo impoverisce il paesaggio, ma compromette anche la biodiversità e rende i territori sempre più vulnerabili agli eventi climatici estremi.
Investimenti pubblici a pioggia, scriteriati ed anche dannosi
A fronte di tale fenomeno che procede a velocità crescente la Regione e la struttura commissariale per la ricostruzione si sono limitati sino ad oggi ad erogazioni, tra le quali spiccano:
- finanziamenti a pioggia per il recupero di edifici privati che nella migliore delle ipotesi saranno destinati a case per vacanze;
- realizzare edifici pubblici, con l’esempio massimo di nuove scuole di dimensioni significative, magari realizzate in piccoli centri confinanti tra loro, che resteranno certamente semi vuote
- restaurare palazzi storici restaurati, destinati genericamente e vagamente a musei, sale espositive o finalità analoghe, senza reale domanda, progettualità concreta e di rete.
Per non parlare degli interventi, spesso di forte impatto, che dovrebbero promuovere la rinascita dell’economia, in gran parte destinati alla realizzazione di strutture per lo svago ed il turismo (peraltro che nascono vecchie e spesso non sostenibili come i nuovi impianti sciistici) e a infrastrutture per raggiungerle più rapidamente; quasi a segnare per il nostro entroterra un futuro di “parco divertimenti e svago” plastificato per avventori del weekend senza più identità e vita propria.
Un approccio in buona misura di interventi estemporanei, privi di una pianificazione strategica e partecipata, che persegua il fine di migliorare la vivibilità, realizzare coesione e senso di appartenenza comunitario.
Una nuova stagione di pianificazione strategica partecipata di area vasta
Risulta quindi indispensabile avviare rapidamente anche attraverso strumenti normativi ed forti incentivi una nuova stagione di pianificazione di area vasta, per ambiti territoriali omogenei che potrebbero indicativamente riferirsi ai bacini idrografici che solcano da nord a sud l’itera regione, capace di delineare nei nostri stupendi territori collinari e montani la configurazione di vere e proprie città/territorio, ognuna di esse comprendente varie realtà municipali. Nuovi aggregati comunitari capaci di assicurare ai propri residenti tutti i servizi sociali, sanitari, culturali, educativi, sportivi, per la mobilità… nonché aree per l’insediamento di realtà produttive e dei servizi per le stesse. Servizi ed infrastrutture distribuiti sul territorio in modo organico, equilibrato, razionale e raggiungibili in tempi minori di quelli occorrenti per attraversare una qualsiasi città capoluogo.
Rifuggendo dalla nefasta idea di accorpare le identità comunali, si tratta di praticare una pianificazione partecipata, innescata e sostenuta anche finanziariamente da normative regionali che definiscano in maniera condivisa il quadro degli ambiti territoriali (in linea di massima riferiti ai bacini idrografici), gli obiettivi, le modalità e i tempi di sviluppo, nonché misure fiscali e finanziarie volte ad incentivare l’insediamento nei territori dell’entroterra di famiglie marchigiane e migranti, nonché di imprese compatibili con le caratteristiche dei territori stessi.
Oltre ai risultati materiali che porterebbe, un tale approccio andrebbe a determinare una progressiva trasformazione delle relazioni tra le varie realtà locali: da logiche competitive in cui piccole comunità tendono a assicurarsi la sopravvivenza a scapito del declino di quelle confinanti, contendendosi utenti e residenti, ad un approccio cooperativo e comunitario. Una logica senza la quale è inimmaginabile un futuro degno di essere vissuto.
Quali azioni virtuose per il rilancio dell’entroterra
Tale pianificazione dei servizi e del territorio deve ovviamente intrecciarsi con l’individuazione ed il perseguimento concreto di un modello virtuoso di fruizione abitativa e valorizzazione economica dei luoghi del nostro entroterra capace di beneficiare in modo integrato e sostenibile delle straordinarie qualità delle nostre zone rurali e montane, dei nostri splendidi borghi e delle grandi opportunità offerte dall’innovazione tecnologica. Tra queste:
- La riconquista agricola, ovvero trarre tutti i benefici possibili dalle innovazioni tecnologiche che contengono i consumi idrici, diminuiscono l’uso di chimica sintetica, peraltro costosa, fino a pratiche colturali che alleviano il carico di fatica umana e, nell’ecosostenibilità, trovano un vettore essenziale per i mercati internazionali.
- La gestione della risorsa bosco che, nel nostro Paese, è inutilizzata per quasi un terzo, al contrario di più saggi paesi europei che riducono il mancato uso a pochi punti percentuali. Tale gestione, inoltre e soprattutto, rappresenterebbe la naturale e necessaria manutenzione delle aree boschive, prevenendo incendi e dissesti. Lo scenario internazionale mostra, peraltro con chiarezza, l’affermarsi del legno quale centrale materiale per le costruzioni e l’arredo, ma noi ne importiamo circa l’80%!
- Un nuovo approccio all’agricoltura e ai boschi, potrebbe peraltro generare la creazione di opportunità energetiche ecosostenibili. L’autoproduzione – anche solare ed eolica – condivisa per non turbare i “paesaggi visivi consolidati” delle nostre comunità, ma senza pigrizie è la strada da percorrere, dentro una grande spinta verso la diffusione delle Comunità Energetiche rinnovabili, esempio di una sempre più necessaria condivisione sociale ecologica ed economica.
- Il potenziamento della connettività digitale per favorire l’accesso ai servizi e rendere le aree interne più attrattive. L’istituzione di sportelli digitali per l’erogazione di servizi amministrativi e sanitari può in parte di compensare la chiusura dei tradizionali sportelli fisici.
- L’opportunità residenziale, cioè promuovere energicamente la forte offerta immobiliare già presente, per una attrattività reale nei confronti di nuclei familiari che, attecchiscano, siano organici concittadini e non rappresentino solo “braccia temporanee” da sfruttare.
- Il “Silver Cohousing” cioè i progetti di condivisione abitativa, che già sono in essere in numerose aree urbane europee, per non permettere la terribile solitudine rurale di chi, anziano, abita da solo casali che storicamente accoglievano fino a 30 consanguinei.
- Lo “Smart working” ovvero il lavoro a distanza che permetterebbe a nipoti inurbati o quanti desiderosi di qualità rurale, di lavorare a distanza nei borghi, anche per brevi-medi periodi, favorendo l’economia locale ma anche la naturale progettualità di chi opera aziendalmente e professionalmente.
- La somma di tali approcci permetterebbe infine un turismo necessariamente di qualità dove l’autenticità è cosa concreta e condivisibile mentre sappiamo cosa significa oggi misurare la poco attrattività negli occhi annoiati di pochi curiosi e frettolosi!
Un metodo di consultazione e di confronto permanente con le comunità locali nelle Marche
Tutte le proposte qui delineate non possono essere affidate semplicemente al nuovo governo della Regione, ma dovranno essere sviluppate, accompagnate e verificate mediante un metodo di consultazione permanente delle comunità locali nelle Marche, di cui la stessa Giunta regionale si farà carico, riconoscendo nella partecipazione etico-democratica e progettuale una forza insostituibile per la vita collettiva della nostra regione.