Fondamentale, dunque, è separare con nettezza estremismo e radicalità politica. Il primo è sterile, dà al potere l’occasione per mostrare la propria ferocia, uccide persone, speranze e desideri di vita buona. L’estremista sbaglia nei modi e negli obiettivi del suo intendimento politico. Spesso non conosce nemmeno le vere intenzioni che lo guidano (gran parte delle quali sono inconsce). La seconda, invece, cerca di raggiungere le cause dei problemi per trasformare l’esistente.

Chi sente l’urgenza di una politica radicale, contrariamente ai luoghi comuni, non ama affatto lo scontro in quanto tale, né si avvolge dentro una bandiera identitaria fino a non vedere più nulla di ciò che accade intorno a lei/lui. Anzi. La radicalità di una politica che smetta di essere complice dell’odierno capitalismo finanziario, e delle sue logiche distruttive, va pensata piuttosto come una disposizione a guardare la realtà con crescente lucidità. Il radicalismo non ideologico è visionario, capace di utopia, e al contempo consapevole che i cambiamenti profondi richiedono passi intermedi.

Andare alle radici dei problemi vuol dire rispettare la complessità di una vita sempre misteriosa. E’ sbagliato semplificare, banalizzare e ridurre la politica a slogan identitari. Ecco perché, a nostro avviso, la chiarezza dei valori e delle intenzioni devono accompagnarsi a una disciplina etica, alla vocazione ad andare alle radici dell’umano. Senza questa sensibilità il teatrino della politica continuerà a oscillare tra l’illusione riformista e i proclami impotenti e battaglieri di un antagonismo incapace di sviluppare consenso.

Paolo Bartolini

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