Ricordare di restare umani

L’emergenza pandemica, e tutto quello che ne consegue, ha rivelato a chiunque conservi un briciolo di umanità e senso critico, che la “minaccia” dei migranti alle nostre comunità era inventata di sana pianta (la “minaccia” era inventata, non certo la complessità della convivenza tra etnie diverse sul medesimo territorio). Per anni la retorica della paura e del capro espiatorio ha alimentato nella popolazione rabbia e allarme nei confronti di chi rischia la pelle per raggiungere le nostre coste. Abbiamo perduto molto tempo, che si sarebbe potuto investire meglio per immaginare forme di solidarietà e co-responsabilità capaci di rispondere all’entità effettiva dei flussi migratori.

Ora che le testate giornalistiche hanno altro su cui puntare per catturare l’interesse dei lettori, non è che non si muoia più in mare, al contrario. Ecco perché è importante non dimenticare il destino degli ultimi a cui ci affratella, nei fatti, una cosa: siamo tutte/i immerse/i in un passaggio storico decisivo, chiamati ad abbandonare le logiche del profitto e del potere per far spazio alla cura reciproca e allo sviluppo di pratiche di resistenza creativa.

Questa è una poesia che ho scritto sul tema delle morti in mare, nient’altro che una preghiera laica pensata per ricordarci, come voleva Vittorio Arrigoni, di “restare umani”:

ROTTE MEDITERRANEE

Non solo cibo
e un caldo riparo,
per scusarci di ciò che
è impossibile perdonare,
per le acque fonde
dove vi lasciamo annegare,
per il viso girato altrove
mentre ruggisce il mare,
non solo cibo, una coperta
e un tetto
vi dovremmo dare –
fratello e sorella che
la falce
della luna avete visto
insidiare i vostri occhi
bianchi, spalancati
come una ferita.

Noi che abbiamo
da una vita
perso la memoria
di tutto il male
che facciamo,
noi vi dobbiamo
niente meno che
un ascolto ospitale.

Paolo Bartolini

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