“La guerra è il male peggiore che affligge la società umana ed è fonte di ogni male e corruzione; ad essa non è possibile fornire una cura assoluta e immediata.”
La presente citazione riassume il pensiero del filosofo tedesco Immanuel Kant riguardo la guerra: secondo Kant la guerra è un fenomeno naturale che simboleggia l’imperfezione della condizione umana; gli esseri umani, per sfuggire a questo male, devono impegnarsi in quello che lui definisce il “progetto per la pace perpetua”. Questa pace deve essere distinta dalla cosiddetta pace negativa in cui, finiti gli accordi di tregua, la guerra può iniziare nuovamente da un momento all’altro.
Se da un lato la guerra è un fenomeno insito nell’uomo, dall’altro la costruzione della pace, per Kant, è qualcosa di artificiale che può essere raggiunto tramite il ripudio della guerra e la volontà di costruzione di una pace stabile tra gli individui; un discorso simile verrà ripreso in seguito alla seconda guerra mondiale da Maria Montessori da un punto di vista pedagogico.
Gli studi antropologici in realtà, come quelli di Marvin Harris, propongono delle teorie in contrasto con il pensiero kantiano e considerano la guerra come fenomeno culturale. Dalle ricerche emerge non solo che la guerra non è sempre esistita ma che i problemi venivano risolti con modalità differenti in base alle diverse tradizioni dei popoli. Il problema del conflitto è sorto infatti quando l’essere umano è passato dalla condizione nomade a quella sedentaria e, di conseguenza, ha incentivato l’accumulo delle ricchezze, la nascita delle gerarchie e delle diseguaglianze. Come ci ricorda il filosofo italiano Umberto Curi infatti per eliminare la guerra occorre prima di tutto eliminare lo squilibrio economico. Questi studi spiegano come in realtà la guerra non sia un fattore innato come credevano Kant e Hobbes ma qualcosa che viene acquisito all’interno della società in cui viviamo.
Le riflessioni sulla guerra hanno radici molto antiche che risalgono a molto tempo prima delle teorie Kantiane: Eraclito ad esempio si concentrò molto sul tema del conflitto attribuendo ad esso un aspetto necessario: se la realtà è generata dallo scontro tra opposti per raggiungere uno stato di pace occorre necessariamente passare per uno stato di guerra. Anche per Hegel ad esempio la guerra è necessaria per un progresso sociale ed economico. Le tesi in favore dell’aspetto naturale della guerra trovano degli ostacoli nel momento in cui il conflitto viene accostato al potere: lo stato infatti è l’organo che più rappresenta un popolo e la sua cultura, e non è un caso che sia proprio lo stato che cerca di convincere la popolazione che la guerra sia un fatto inevitabile quando si devono risolvere delle questioni politiche e religiose.
L’antinaturalismo del conflitto emerge chiaramente perché in realtà gli esseri umani se non ci fosse la politica che li pone in una condizione di aut aut fra vittoria e sconfitta sarebbero per la maggior parte a favore del ripudio della guerra. Per spiegare questo concetto mi piacerebbe far riferimento alla famosa canzone di De Andrè La guerra di Piero in cui il soldato in questione trovatosi di fronte al suo avversario decide di non sparargli perché capisce che in realtà gli esseri umani sono tutti uguali e ciò che in quel momento li differenzia è soltanto il colore della divisa. La canzone mette in risalto non solo le atrocità della guerra ma anche l’umanità dei soldati che viene repressa dai doveri che lo stato impone di seguire.
Il messaggio che i governi cercano di trasmettere è che per risolvere qualsiasi contrasto bisogna procedere con la violenza; in realtà la prevenzione e lo sviluppo di facoltà come l’empatia, la creatività e la non violenza, già teorizzate da Gandhi e riprese poi da Johan Galtung sono mezzi più efficaci per risolvere qualsiasi incomprensione. Il compito di prevenzione deve essere svolto in particolare dalla scuola che rappresenta l’istituzione in cui entrano a contatto più culture e dove si impara a valorizzare le differenze e rispettare l’opinione altrui. Secondo Maria Montessori l’educazione è l’arma della pace anche perché quello scolastico è l’ambiente dei bambini, figure che ancora non sono state travolte dalla vecchia cultura e che possono quindi portare innovazione e progresso; i bambini sia dal punto di vista della Montessori che da quello di Hannah Arendt rappresentano una speranza, una possibilità di cambiamento che può avvenire soltanto tramite l’educazione. La politica però, che dovrebbe a questo punto attivare un processo di demilitarizzazione come avvenuto in Costa Rica, preferisce, anche in vista dell’enorme affare globale che c’è dietro, far rimanere i cittadini nella prospettiva utile e inevitabile del conflitto.
Personalmente credo che la scuola abbia un ruolo fondamentale, ovviamente una scuola in cui venga valorizzata l’opinione personale e la libertà di pensiero, che lasci agli studenti la possibilità di confrontarsi anche con insegnanti che possano dare loro strumenti conoscitivi per cambiare il mondo e che insegnino ai ragazzi e alle ragazze a pensare da sé, perché uno dei problemi della nostra cultura, anche legato alle guerre e alla mancanza di umanità, è proprio la difficoltà di creare un pensiero critico che potrebbe darci la possibilità di opporci a ciò che riteniamo sbagliato.
Sofia Prete