L’educazione è l’arma della pace

Perché ancora oggi nel mondo la guerra viene considerata come un fatto naturale mentre la pace come una lontana prospettiva artificiale?

La ricerca storica e antropologica ha dimostrato che il conflitto è sempre stato il principale fattore di trasformazione della società umana che da piccole comunità autonome è passata e si è trasformata in grandi stati Nazioni. Questo perché le società sono sempre soggette al contatto, al confronto, allo scambio tra culture differenti l’una dall’altra. L’antropologia ha iniziato a studiare il conflitto intorno alla metà del Novecento (periodo caratterizzato da tensioni costanti a livello mondiale) e ha scoperto che, le continue guerre, rappresentavano l’idea che il cambiamento, per popoli e comunità, fosse un fattore importante per le dinamiche sociali e culturali.

Ma qual è lo scopo della guerra? In realtà ad esempio le piccole comunità, in alcuni casi, vedono la guerra non come uno scontro per ottenere dei vantaggi ma proprio come una sfida competitiva. Uno dei primi filosofi che riflette su questo arduo argomento è Marx che ci parla di “ideologia” proprio nei conflitti, in cui la classe dominante ha la capacità di rendere legittimo il proprio potere agli occhi della classe dominata, insomma per chi detiene il potere è giusto che le persone ai margini della società rispettino le proprie regole anche se del tutto nocive.

Successivamente, il filosofo italiano Antonio Gramsci, seguendo l’impostazione marxiana, elabora il concetto di egemonia culturale per indicare la capacità della classe dominante di convincere le classi dominate della legittimità di un certo regime, nel quale alcuni sono avvantaggiati e altri meno.

Come si dovrebbe agire allora per costruire una società pacifica e solidale? Luigi Ferrajoli, filosofo del diritto, ci offre alcuni spunti affermando che: “la principale garanzia costituzionale della Pace, della vita e della sicurezza consiste nel bando di tutte le armi come beni illeciti, ma una costituente della terra dovrebbe anche vietare le armi convenzionali, la cui diffusione provoca ogni anno milioni di morti.” Per Ferraioli un’alternativa c’è sempre: la guerra tra Russia e Ucraina era stata prevista e non abbiamo fatto nulla per evitarla, abbiamo contribuito allo sviluppo del più grande potere selvaggio (le grandi potenze politiche) invece di organizzare una conferenza della pace con, appunto, la partecipazione di tutte le più grandi potenze, per non parlare di tutti i problemi economici che caratterizzano il nostro mondo.

Anche Maria Montessori ci aiuta a riflettere su questi temi: “La pace è una meta che si può raggiungere soltanto attraverso l’accordo. L’educazione assume oggi, nel particolare momento che attraversiamo, un’importanza veramente illimitata. L’educazione è l’arma della pace: tutti parlano di pace ma nessuno educa alla pace. A questo mondo si educa per la competizione e la competizione è l’inizio di ogni guerra.” Montessori parla in modo chiaro: è proprio a partire dalla formazione scolastica che si dovrebbe educare al rispetto e alla valorizzazione della diversità. Educare alla pace oggi significa formare la persona indirizzandola verso una pluralità di cultura. Se questo viene a mancare si commette una violenza simbolica: Pierre Bourdieu, sociologo francese, la descrive come una forma di violenza che può essere definita anche invisibile e dolce. Se ogni paese nel suo sistema scolastico impone la propria cultura nazionale come conoscenza unica e indiscutibile, si commette su allieve ed allievi una violenza simbolica, perché la gioventù viene educata solo ed esclusivamente alla propria cultura col rischio di far nascere in essa la paura per il diverso.

Questo negli anni ha portato a molteplici conflittualità tra etnie e nazioni: in tutte le società infatti è presente una mancata percezione della sofferenza altrui chiamata “doppia morale”, che porta le persone a dimenticare completamente le caratteristiche umane degli “altri” e ad agire su di essi con atti di violenza solo perché ritenuti diversi o non appartenenti alla comunità umana. Non dobbiamo pertanto fare la guerra al diverso ma dobbiamo accettarlo, deve diventare una fonte di ricchezza che offre la possibilità di trasformare la propria cultura con elementi nuovi ed unici.

Alla luce del discorso affrontato, ancora oggi nel mondo la guerra viene considerata come un fatto naturale perché, anche se è difficile da ammettere, in realtà tutti noi siamo stati “educati” in questo modo. In tutti i discorsi che ascoltiamo in TV e sui mass media, c’è sempre l’affermazione “dobbiamo smettere di fare la guerra”, ma le parole in verità non bastano mai: non possiamo cambiare un mondo improntato da anni ed anni su continui percorsi negativi per renderlo pacifico. Per inserire la pace in un vero e proprio obiettivo per i prossimi anni, dobbiamo smettere di pensare e agire in modo egoistico, dobbiamo pensare al bene di tutte le comunità, dobbiamo abolire le continue disuguaglianze e puntare ad una politica che, invece di aumentare fondi su armi, sostenga ad esempio risorse per affrontare il cambiamento climatico e tante altre problematiche.

Come disse Martin Luther King: “Restituire odio per odio moltiplica l’odio, aggiungendo ulteriore oscurità a una notte già priva di stelle. Le tenebre non possono scacciare le tenebre, solo la luce può farlo. L’odio non può scacciare l’odio, solo l’amore può farlo”.

Gaia Di Paola, 18 anni