77 anni (e non li dimostra?)

Un piccolo discorso di sincerità

Tra un paio di giorni, esattamente il 25 di aprile, saranno passati 77 anni dall’evento -l’abbandono di Milano da parte delle truppe tedesche di occupazione- che fu dichiarato essere finalmente la liberazione, anzi la Liberazione, dell’Italia. Prima di essere sommersi dal prevedibile diluvio di riflessioni (o pseudo-riflessioni) sul tema, vale la pena di fare un percorso che, partendo dall’etimologia, conduca a risultati indiscutibili. Perché su questo tema c’è un grande bisogno di correttezza, di esattezza, di sincerità, per superare la marea di ipocrisie che tenta di sommergerlo ogni anno. Liberazione, perciò, che deriva dal latino -e se si riferisce a Stati, significa “rendersi libero, indipendente”- come tutti i vocaboli terminanti in “azione”, indica appunto, un atto, un’azione, o un insieme di atti, che tende a, e conduce ad un risultato.

Quindi, dando alla parola il suo esatto significato, “liberazione”, significa “liberarsi da”, e quindi passare da uno stato di non libertà ad uno di libertà. In conclusione, se si vuole rispettare il vocabolario e un minimo senso comune storico, prima della liberazione non si era liberi, si dipendeva da qualcosa o da qualcuno. Questa indiscutibile affermazione va tenuta presente sempre, quando si indica, si cita, ci si vuol riferire ad una “liberazione”, e specialmente quando l’oggetto del discorso è la “Liberazione” dell’Italia.

Se allora, procedendo sempre a cavallo tra etimologia e storia, si è stabilito con legge che il 25 aprile 1945 l’Italia raggiunse la sua “Liberazione” -data da celebrarsi quindi ogni anno- vuol dire che prima l’Italia non era libera, non aveva libertà, era costretta da qualche situazione, subìta ovviamente.

E ancora.

Se vogliamo svolgere correttamente il nostro compitino, se vogliamo, come ogni tema che si rispetti, approfondire il significato di realtà riassunto dalla e nella traccia, dobbiamo, necessariamente, a): capire da che cosa l’Italia si è liberata,  b): chiarire come si è liberata, e che uso ha fatto della conquistata libertà, c) quale è la situazione, qui ed ora.

Imboccata finalmente la via maestra, facciamo ancora qualche progresso, sia relativamente ad a), sia relativamente a b) e, com’è doveroso, sia relativamente a c)

a) Da che cosa, e come, l’Italia si è finalmente liberata il 25 aprile 1945

A rigor di ricostruzione storica, la situazione dell’Italia era, a quella data, ambigua: essendo in parte (quasi) libera (dal 1943) e in parte non libera.

Per procedere correttamente, bisogna precisare che l’Italia non poteva considerarsi libera dall’ottobre 1922, cioè dall’inizio di quella che la retorica dell’epoca chiamò “era fascista”. Questa tranquilla affermazione viene talvolta criticata da chi sostiene che il fascismo, e Mussolini, non furono esperienza negative fino alla precipitosa entrata in guerra. La tesi è abbastanza diffusa, ma assurda, basta ricordare il rigurgito di razzismo becero, che si coagulò nelle oscene leggi razziali, ma potè farlo anche perché l’etica pubblica era sparita, o meglio era stata fatta sparire. E, volendo proseguire nel fango, la stessa entrata in guerra fu determinata da una ridicola mania di grandezza, irrobustita da una miscela distruttiva di corruzione diffusa e servilismo disgustoso.

Con l’armistizio dell’8 settembre 1943, la farsa bellica, che era costata decine di migliaia di morti e feriti, militari e civili, non cessò, ma le vicende italiane proseguirono al Sud in un confuso tentativo di tenere in vita un simulacro di istituzione, un governo volto soltanto a conservare la corona all’inetto re, con pochissime eccezioni (le 4 giornate di Napoli, la difesa di Porta San Paolo a Roma) mentre al Nord cominciò quel fenomeno più tardi battezzato Resistenza, perché in effetti si trattò di resistere agli ultimi violenti colpi di coda di un fascismo orrendo, sostenuto dalla ferocia dell’ex alleato tedesco. Sulla Resistenza si è scritto molto, e si è discusso ancora di più, nella foga di un dibattito nel quale la razionalità non ha sempre avuto la meglio. La pubblicistica ha dato un robusto contributo, spesso aderendo alle faziosità piuttosto che contribuendo ad una visione non serena, ma almeno onesta e documentata. Sulla base, quindi, di letture frettolose e “arruolate” si è ritornato alle polemiche che possiamo ritenere di ricomprendere tutte sotto un titolo “Guerra civile”, che, con maggiore o minore parzialità, sono confluite in una corposa, ma assai confusa, polemica, anche molto recente, contro una lettura celebrativa della Resistenza. Questo tratto di riflessione storica, politica, militare è troppo ampio per essere affrontato in questo discorso, che non a caso si autoqualifica “piccolo”. Chi volesse, invece, affrontare questo mare pericoloso, potrebbe/dovrebbe tenere sul comodino il libro, più citato che letto, di Claudio Pavone, che con il titolo “Una guerra civile”, ci ha lasciato un “Saggio storico sulla moralità della Resistenza”, come lo ha chiamato nel sottotitolo, che merita più di una sia pure non pregiudiziale recensione. Il libro, per una sintesi estrema, è bello, ben argomentato, frutto di ricerche accurate, ma nelle sue conclusioni molto discutibile, apprezzabile più nell’indicare problemi che nel proporre soluzioni.

Resta, indubbia, la Resistenza un fenomeno storico, che, con le vesti di guerra patriottica, guerra civile e guerra di classe (tripartizione proposta da Pavone, e che non restò sempre ben distinta nella realtà concreta), ha segnato una reazione antifascista di una parte significativa della popolazione italiana vissuta nella parte Centro (poco), e molto Nord della penisola. Il fenomeno ha attraversato anche momenti negativi, come sempre accade nei rivolgimenti storici, ma questi momenti furono (quasi) sempre eccezioni in un flusso di eventi sostanzialmente positivo, specie, forse, dal punto di vista della morale. Resta, comunque, innegabile, lo straordinario sorgere di un flusso imponente, spontaneo ed entusiasta di cittadini, militari, civili, colti borghesi, operai organizzati e convinti contadini, che presero le armi e iniziarono una feroce contrapposizione contro un nemico assai meglio armato, organizzato con teutonica precisione e spietato, come dimostrarono innumerevoli episodi di estrema ferocia (per tutti, Marzabotto, Sant’Anna di Stazzema, Fosse ardeatine a Roma).

b) Che uso ha fatto l’Italia della riconquistata libertà dal 26 aprile 1945

Il discorso sulla Resistenza acquista una sua innegabile e ulteriore positività se lo leggiamo, arricchendolo, alla luce della più imponente e affascinante sua “conseguenza”, cioè la Costituzione della Repubblica. Staccare i due fenomeni vorrebbe dire annacquarli e svilirli, lasciandoli isolati in una loro dimensione ridotta. Invece la Resistenza ha messo in moto elementi multipli, agitandoli confusamente nel vortice di un rivolgimento esteso, e i costituenti (soprattutto padri, ma anche madri, sia pure in una sparuta rappresentanza) hanno provato a dare forma precisa a quella miscela, versandola nello stampo di una (anzi della) Legge con la maiuscola, che doveva diventare la Legge fondamentale di quella Italia che si era trasformata in Repubblica. Nella stesura della Costituzione vi fu quel concorrere, non sempre armonico, ma sempre significativo, delle tre tradizioni storico-politico-culturali, la cattolica, la marxista e la liberale che si erano già incontrate nella resistenza, allora però in maniera confusa e parziale. E le sorti della Costituzione furono pesantemente condizionate dalle vicende finali della Resistenza, esauritasi nell’affermazione di un modello di governo sostanzialmente monocolore, intorno alla stella polare democristiana, dopo una prima breve esperienza di unità derivante dal CLN, nel quale erano presenti tutte le forze politiche antifasciste, e che fu bloccato sul nascere dagli alleati anglo-americani, in applicazione determinata e rigorosa del c.d. patto di Yalta, che divise l’Europa in due parti, separate da una “cortina di ferro” -come si espresse Churchill, il primo ministro inglese- cortina che crollò soltanto nel 1989, con l’abbattimento del muro di Berlino. La Costituzione è stata assai spesso “celebrata”, ma non sempre adeguatamente attuata e qualche volta addirittura criticata distruttivamente; ad analogo “trattamento” è stata sottoposta la Resistenza.

c) Una carrellata sulla contemporaneità

 La Resistenza si trova di nuovo al centro di polemiche e discussioni, trascinata dalla criminale (letteralmente, cioè in violazione di precise leggi internazionali) guerra provocata deliberatamente dalla Russia con l’invasione dell’Ukraina, del tutto priva di giustificazioni valide. Alcuni hanno proclamato che la resistenza incredibile del popolo ukraino richiama la Resistenza di (parte) del popolo italiano. E subito si sono accese le polemiche. Se si vuole ragionare, e non esprimersi con il tifo da stadio, va affermato che i due eventi, così distanziati nel tempo e in contesti tanto differenti, non possono essere paragonati se non a grandissime linee, essendo esecrabile e del tutto ingiustificabile la condotta non del popolo, ma dello Stato Russia. Per il resto sembrano definitive le affermazioni del Presidente della Repubblica, il quale non ha esitato a dichiarare la solidarietà totale e concreta dell’Italia con la sventurata popolazione ucraina.

Non rimane, dunque, a titolo di conclusione, che una testarda speranza di pace, affidata non soltanto all’intervento della diplomazia, pur necessario.  L’anniversario della Resistenza può e deve offrire l’occasione per una riaffermazione dei valori per i quali si sono sacrificati i partigiani, quasi ottanta anni fa. Senza se e senza ma, come ormai si usa dire per significare un atteggiamento, una posizione politica e morale assoluti, incondizionati.

E, indubbiamente, la celebrazione del settantasettesimo anniversario della fine della guerra per l’Italia deve avere il senso di recuperare il valore della democrazia non soltanto per i singoli Stati, ma per l’Europa tutta “che assicuri la pace e la giustizia tra le Nazioni”, come si legge nell’articolo 11 della nostra Costituzione. Costituzione che va ancora pienamente attuata e “rivissuta”, come va “rivissuto” e celebrato il movimento che portò alla sua nascita, la Resistenza.

Vito D’Ambrosio

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