La lezione delle donne curde

Lo scorso 22 maggio, alla Festa dell’associazione “Macondo” a Bassano del Grappa, ho potuto conoscere e ascoltare Hazal Koyuncuer, giovane attivista per i diritti del popolo curdo, che lavora come consulente legale per i diritti dei migranti. Ci ha raccontato dell’esperimento di democrazia avanzata in atto nel Rojava, nel nord della Siria.

Le città e i villaggi di quella regione sono governati secondo un sistema di autogoverno locale e di federalismo democratico illuminato, nel quale le terre sono distribuite secondo la necessità delle famiglie e sono lavorate sulla base di un’organizzazione cooperativa. Si è consolidata così un’Amministrazione Autonoma del Rojava che esprime la sovranità del popolo curdo e che al tempo stesso accoglie pacificamente e con equità persone di molte etnie, incarnando il modello di una società corale, capace di collaborazione interculturale e interreligiosa, dove convivono curdi, arabi, assiri, caldei, turcomanni, armeni e ceceni. Nel processo di democratizzazione dal basso del Rojava è emersa la centralità delle donne, che sono l’anima e il motore di questo esperimento. Riprendo qui le sette intuizioni salienti della comunità del Rojava, riportando le parole usate da Hazal.

La prima intuizione è relativa alla svolta fondamentale: liberare le donne per liberare la società. Naturalmente si tratta di un percorso di liberazione da parte delle donne stesse, non di una concessione. L’etica della dignità nella differenza e l’etica del bene comune, assunte come atteggiamento quotidiano, hanno generato una trasformazione culturale profonda, che ha aperto lo spazio di credibilità della vita democratica.

La seconda intuizione, legata alla prima, è l’esigenza di liberarsi dell’individualismo per scegliere di vivere in maniera collettiva. Di fronte a questa scelta un europeo può provare un senso di nostalgia o di utopia, mentre per il popolo curdo questa forma di vita è concretamente la più congeniale e praticabile. In un’area del mondo devastata da scontri e guerre permanenti, la vita della società dev’essere condivisa con spirito di riconciliazione, come recita la Costituzione della comunità, denominata Carta Sociale del Rojava. Perciò la comunità è stata concepita in alternativa alla logica della guerra, secondo la sapienza dell’accoglienza, della giustizia e della solidarietà che non fa discriminazioni tra esseri umani. Così accade che persino agli ex combattenti dell’Isis siano garantite la sussistenza e la partecipazione alla vita collettiva.

La terza intuizione è di natura operativa e politica: applicare la Costituzione rafforza i popoli e permette di rispecchiare la loro identità evitando di deformarla a causa delle patologie del nazionalismo, dell’imperialismo e del razzismo.

La quarta intuizione riguarda la corresponsabilità tra i generi: in ogni ruolo di riferimento e di governo della comunità vige il principio della co-presidenza: una donna e un uomo presiedono alle dinamiche della vita pubblica.

La quinta intuizione va in profondità nel cammino di autenticazione della democrazia, riconoscendo che essa è mediazione e non imposizione. La democrazia, infatti, non può svilupparsi basandosi sul principio di una maggioranza che prevale sulla minoranza, poiché il modello culturale sarebbe ancora quello della guerra, benché vissuta in modo non cruento. La vera democrazia deve basarsi sul modello del dialogo: nessuno si impone sugli altri con il potere dei numeri, dei soldi o delle armi, ma insieme si partecipa a processi decisionali di mediazione, dove alla fine si arriva a un compromesso accettabile per tutte e per tutti.

La sesta, fondamentale intuizione dice che la società dev’essere del popolo, non dei padroni del mercato. Perciò tutti i servizi sono pubblici, i beni comuni sono prioritari e l’economia è orientata in modo ecologico integrale, al servizio dei bisogni delle persone e della tutela della natura. La proprietà privata esiste, ma non è il mercato a essere il sovrano dell’attività economica.

La settima intuizione riguarda lo spirito con cui si può agire per dare forma a una convivenza sociale e civile di questo tipo. Essa dice che non si può vivere sottomessi e nella paura. Occorre una profonda fiducia nella vita e nella felicità condivisa, il cui desiderio è tenuto desto affrontando insieme ogni problema.

Un’esperienza simile avanza tra mille difficoltà e non va certo idealizzata. Ma da ognuna di queste intuizioni abbiamo molto da imparare. Ascoltando Hazal ho percepito, per contrasto, quanto l’Italia e l’Europa siano asfittiche. Noi siamo culturalmente stretti tra l’ideologia tecnoliberista, l’individualismo, lo sconforto rinunciatario di chi si sente sconfitto e il rancore di chi si rifugia nel settarismo. Invece, se impariamo dai migliori esperimenti di umanità, democrazia e nonviolenza in atto nel mondo, siamo spinti a ritrovare la nostra anima e anche la capacità di agire politicamente. Così, al tempo stesso, chi ha veramente contatto con la propria anima non può non mettersi in cammino per trasformare il mondo a partire dal luogo in cui vive.

Se come movimento politico regionale sapremo superare, senza averne scandalo, frustrazioni, solitudini, dissidi, delusioni, meschinità inevitabili per chiunque, potremo sviluppare un’esperienza feconda per tutta la società. Il nome “Dipende da Noi” porta in sé strati di significato sempre più profondi: facendo strada insieme ne scopriremo la bellezza. E li comprenderemo vivendoli. Grazie Hazal.

Roberto Mancini

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