Quale sanità per il post-pandemia? Prima puntata

Adesso sembra davvero un lusso o addirittura uno spreco di tempo parlare di una sanità post-pandemia, ma invece è fondamentale farlo. Ovviamente a mio parere. Occorre darsi prima possibile un orientamento rispetto alla sanità da costruire nella nuova fase che speriamo si apra prima possibile, una fase in cui contemporaneamente la pandemia sarà meno incombente e in cui saranno disponibili quelle risorse che negli ultimi decenni alla sanità sono state negate. Il tema è evidentemente così complesso (ma “necessario”) che lo tratterò a puntate. Tema di questa prima puntata sarà la domanda: la futura sanità dovrà avere più ospedale o più territorio?

A questo riguardo in questo periodo vengono emergendo due linee di tendenza che vanno (e portano) in due direzioni opposte.

Una prima linea di tendenza è quella che vuole un potenziamento della rete ospedaliera. Questa del resto è stata prevista anche da alcuni atti del livello nazionale poi ripresi da atti regionali. In particolare è stato previsto ed è in corso di realizzazione il potenziamento della rete delle terapie intensive. Questo porterà le Marche ad avere a regime 220 posti letto di terapia intensiva a fronte degli iniziali 118 posti letto di prima della pandemia. Ma accanto a questo specifico potenziamento c’è una spinta diffusa a richiedere un aumento complessivo dei posti letto ospedalieri compresi quelli dei “vecchi” piccoli ospedali sulla cui riconversione a ospedali di comunità (che sono tutt’altra cosa rispetto agli ospedali tradizionali per acuti) alcuni vorrebbero tornare indietro. Tra questi c’è anche la nuova Giunta che governa (male, purtroppo) la sanità delle Marche. Cosa spinge in questa direzione di rafforzamento della rete ospedaliera? Il fatto che la pandemia ne ha svelato tutte le debolezze: Pronti Soccorso superaffollati, barelle nei corridoi, blocchi operatori chiusi e trasformati in aree di terapia intensiva, impossibilità per gli ospedali di garantire contemporaneamente una risposta all’emergenza Covid e a tutte le altre emergenze non-Covid più tutta l’attività programmata. Con la conseguenza che non si sa più ormai se ha colpito di più il Covid-19 o il crollo della risposta sanitaria compresa quella ospedaliera a tutti gli altri problemi.

Una seconda linea di tendenza vuole (si dovrebbe aggiungere “invece” e come vedremo tra poco non è così) un potenziamento del cosiddetto territorio, e quindi dei servizi distrettuali e dei Dipartimenti di Prevenzione. A questa scelta spingono considerazioni altrettanto forti di quelle che spingono ad un potenziamento della rete ospedaliera: la incapacità dimostrata dai Dipartimenti di Prevenzione a svolgere una attività di tracciamento adeguata (si sono “persi” per carenze di personale troppi nuovi positivi che hanno generato a loro volta molti altri “nuovi” positivi) e la impossibilità dei servizi distrettuali a garantire una adeguata gestione domiciliare dei casi ed un adeguato “filtro” rispetto alle cure ospedaliere. Per non parlare del dramma delle strutture socioassistenziali che sono state tra le più colpite dalla pandemia per le loro carenze organizzative (carenza di personale) e strutturali (sovraffollamento, mancanza di spazi per l’assistenza a pazienti positivi, ecc.).

Come anticipato prima queste due linee di tendenza convergono nel richiedere più risorse per la sanità (e fin qui non solo ci siamo, ma stiamo parlando di una cosa, come si diceva una volta, sacrosanta). Ma finiscono per convergere anche negli orientamenti programmatori che contemporaneamente prevedono almeno a parole sia un rafforzamento della rete ospedaliera che di quella territoriale. Dico subito che (ovviamente e rigorosamente a mio esclusivo parere) che questa scelta di potenziare tutto non solo è impossibile, ma è sbagliata.

È impossibile perché non esiste per riuscire in questa sorta di “potenziamento di tutto” una quantità sufficiente di personale per garantirlo in tempi accettabili. Il potenziamento ed adeguamento della rete ospedaliera così com’è magari con l’aggiunta di quella parte che si stava finendo di riconvertire da solo assorbirebbe, per fare un esempio, la totalità del personale infermieristico a disposizione. E per il territorio non rimarrebbe niente.

Ed è sbagliato perché non serve potenziare “questa” rete ospedaliera, ma occorre qualificare una rete ospedaliera “diversa”. Una rete che alla fine assorbirà la “giusta” quantità di risorse perché resa più razionale e più equa da alcune scelte difficili. Se non si prenderà questa strada il tentativo di potenziare “tutto” si rivelerà sbagliato e si tradurrà in un peggioramento dei servizi offerti dal nostro sistema sociosanitario ai cittadini.

Un ultimo messaggio a fine puntata: questi temi vanno offerti al pubblico confronto e sviluppati con il coinvolgimento delle persone. Per farlo servono valori, idee, dati e progetti. È con questo spirito che le prossime puntate cercheranno di sviluppare le riflessioni sulla sanità di un “dopo” che va costruito prima, in pratica da oggi.

Claudio Maria Maffei

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