Sanità pubblica che perde i pezzi e sanità privata che cresce. Ragioniamoci

Questa settimana è uscito su Quotidiano Sanità un intervento sul tema del titolo di questo post, e cioè il tendenziale aumento (definito “strisciante” nel titolo) della componente privata nella sanità italiana. L’intervento è di tre autorevoli rappresentanti della Associazione Salute Bene Fondamentale, e cioè l’ex Ministro della  Sanità Rosy Bindi, Nerina Dirindin e Marco Geddes da Filicaia. L’articolo si concentra su cinque aspetti favorenti la privatizzazione quali il sottofinanziamento del Servizio Sanitario Nazionale, il perdurante blocco di fatto della spesa per il personale, l’affidamento ai privati delle prestazioni “perse” a causa della pandemia e di quelle “nuove” previste dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, la tendenza a voler dare un maggiore spazio alla concorrenza tra pubblico e privato e l’avvallo dato al modello lombardo a forte orientamento privatistico.

L’articolo merita di essere letto perchè aiuta una comprensione di quello che sta avvenendo in tema di privatizzazione della sanità. Il tema del ruolo del privato in sanità rischia sempre di portare ad una semplificazione del tipo: è inaccettabile che qualcuno “guadagni” sulla salute delle persone e quindi fuori i privati dalla sanità. Prima fuori e poi ragioniamo. Io suggerisco di fare il contrario: prima ragioniamo e poi decidiamo cosa va portato fuori e cosa riportato dentro.

Per ragionarci ho deciso (ne parlerò con la redazione) di fare un ciclo di post ravvicinati, uno alla settimana, sul tema in modo che il ragionamento possa essere fatto con le dovute informazioni e con gli opportuni dati. Oggi faremo la fondamentale distinzione concettuale tra “consumi privati” e ”sanità privata” come componente  della sanità pubblica.

Cominciamo dai consumi privati. Si tratta di quell’insieme di servizi e prestazioni che i cittadini dovrebbero ricevere dal Servizio Sanitario Nazionale e che invece i cittadini si debbono pagare perché la sanità pubblica non le offre loro in tempi accettabili o in sedi accessibili. Si tratta di prestazioni e servizi inseriti nei cosiddetti Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) e dovrebbero quindi essere rese disponibili ai cittadini senza costi a loro carico, ticket a parte quando previsto come nel caso ad esempio delle prestazioni ambulatoriali. Questa spesa viene di solito definita “out of pocket” ovvero di tasca propria. E parte della spesa che i cittadini sostengono di tasca propria per prestazioni e servizi sanitari servono appunto per ottenere prestazioni che è loro diritto avere. Questa componente “privata” della spesa per la sanità è sempre più consistente in alcuni settori come quello ambulatoriale. Ormai i tempi di attesa per alcune di queste prestazioni sono così lunghi da rendere inevitabile il ricorso al privato a pagamento. Questo vale ad esempio per le attività di laboratorio analisi e di radiologia, ma anche per interventi chirurgici come quello per la cataratta. Rientra a tutti gli effetti in questa categoria (e cioè quella delle prestazioni che dovrebbero essere erogate a carico del Servizio Sanitario Nazionale e invece sono a intero carico del cittadino) anche quelle erogate in regime di libera professione dalle strutture pubbliche. Il che ci fa ragionare sul fatto che in fondo, e manco tanto in fondo, c’è del privato anche nel pubblico.

Poi c’è un altro tipo di sanità privata ed è quella che è privata come natura giuridica di chi eroga la prestazione, che può essere un privato “puro” o un privato del cosiddetto terzo settore, un insieme di enti di carattere privato caratterizzati: dall’agire senza scopo di lucro, dallo svolgere attività di interesse generale (definite dalla legge), dal farlo per finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale e dall’essere iscritto al registro unico nazionale del Terzo settore. Tutte queste strutture private possono erogare per conto del Servizio Sanitario Nazionale prestazioni ricomprese nei LEA nell’ambito di un preciso quadro di regole che vanno da quelle dell’autorizzazione ed accreditamento a quelle sui rapporti contrattuali e sui sistemi tariffari. Stiamo dunque parlando della componente privata della sanità pubblica, finanziata dallo stato e quindi parte a tutti gli effetti del Servizio Sanitario Nazionale. In pratica, in fondo, e manco tanto in fondo, anche in questo caso  c’è del pubblico anche nel privato.

Quando parliamo di questo tipo di sanità privata e pubblica allo stesso tempo  siamo in un capitolo diverso rispetto a quello di prima dei consumi privati di prestazioni cui avremmo invece diritto.  In linea teorica, per il cittadino nulla cambia se la prestazione o il servizio vengono resi da una struttura pubblica, da una privata “pura” o da una privata del terzo settore. Sempre in teoria, potremmo dire: “basta che funzioni”. Ciò che è inaccettabile è che i cittadini debbano pagare ciò  cui hanno diritto e ciò che è discutibile, e va discusso, è invece il fatto che parte di quello di cui hanno diritto venga fornito da erogatori privati.  E ciò che è ancor più inaccettabile è che ci siano persone che non ricevendo assistenza dal Servizio Sanitario Nazionale (né dalla componente pubblica né da quella privata) e non potendosela permettere rinuncino alle cure.

Forti di questi pochi ma basilari concetti vi rimando ad ulteriori ragionamenti.

Claudio Maria Maffei

 

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